nuova atletica molinella
gruppo podistico
Generazione perduta (scena VI)

Nel 1979 Gaetano Erba vince un campionato europeo dei 2000 siepi con uno strepitoso 5:27, allora primato del mondo di categoria. Il suo immenso talento confermato da questo risultato rimase inespresso a causa di non meglio identificati problemi di carattere fisico che lo costrinsero troppo presto all’abbandono. Oggi ci sono atleti della categoria Allievi (sedici anni, contro i diciotto dello sfortunato Erba) capaci di scendere agevolmente sotto un risultato di questo valore. Ait BahamadAbdelghaniè nato in Marocco, è residente a Reggio Emilia dove vive con la sorella e gareggia per la Libertas Catania. Ha ottenuto un quarto posto ai mondiali under 18 di Marrachech nel 2005 con 5:26:52.

Walter Merlo classe ‘65, il 7 Giugno 1984 corre i 5000 metri in 13:41.

È ancora Juniores quando ottiene questo tempo in un meeting internazionale a Firenze. Palesa in pista un talento superiore a quello di Mei, Antibo e Cova, medagliati olimpici, mondiali ed europei. Mette in ombra coetanei che in età matura avrebbero ottenuto risultati strepitosi in maratona, aprendo una vera e propria età dell’oro in questa disciplina. Poli, Pizzolato, Leone, vincitori della maratona di New York, Bordin e Baldini capaci di vincere il titolo olimpico. Solo per citare le pietre più preziose di un giacimento che per la nostra atletica pare infinito.

Merlo sembrava un giovane aquilotto, i futuri maratoneti, pulcini di quaglia in allevamenti intensivi. Non so dove e come si è incagliato. È finito in una bolla d’aria, in un vuoto temporale. Non so dove e come gli altri hanno spiccato il volo. Qualcuno avrebbe dovuto tenere un diario avendo cura di annotare allenamenti, gare, alimentazione, infortuni, malattie e tutti i particolari di vita extra atletici rilevanti. Un amore adolescenziale non corrisposto, invalidante per un periodo più o meno lungo. Oppure un lutto familiare. Molti atleti redigono una memoria storica per decifrare i segnali del proprio organismo in relazione alle variabili. Mettere mano a una documentazione come questa mi darebbe conforto. Aprire le scatole nere per dare un senso alle perdite di quota di questi atleti sarebbe di grande aiuto. Eviterei gli stessi errori aggirando ostacoli, gestirei al meglio la programmazione degli eventi. I diari degli atleti che hanno avuto misteriose traslazioni dalla mediocrità all’eccellenza, avranno pagine strappate.

A volte sono gli allenatori che bruciano giovani talenti con programmi severissimi, ma in questo caso è l’atleta che pare dedito all’autolesionismo. Il suo primo tecnico lo descrive “bizzarro e incontrollabile”. Non aggiunge altri dettagli alla vicenda che resta opaca. Merlo ha continuato una dignitosa carriera da semi professionista, vincendo gare di livello regionale, circuiti di seconda schiera, grazie a volate finali che ricordavano i fasti giovanili. Rimane laterale alla grande atletica. Nessuna presenza in nazionale. Nel ******* muore in un disgraziato incidente di montagna.

 

 

Gaudenti Fabio classe 1983, al contrario, non aveva promesso proprio niente. Non una vena in vista, né fibre muscolari intarsiate addosso. Liquidi e grassi in eccesso. Lo ricordo fin dalla categoria Cadetti. In campestre si correva sui tre chilometri. Partiva sempre troppo veloce, poi seguiva puntuale un calo costante del ritmo. Era fastidioso trovarselo a sgomitare accanto nelle prime curve, veniva voglia di insultarlo, di gridargli in faccia rallenta coglione, che poi schianti, guardati indietro, ragiona, fa una gara decente, regolare, una, e poi ritirati per sempre. Mai nei primi dieci alle fasi regionali dei Campionati di Società, desaparecido ai nazionali, reperibile nelle classifiche solo dopo minuziose ricerche, molto in basso. I dirigenti della sua società prenotavano l’albergo a Roma anche per lui, solo per premiare il suo impegno.

Finali nazionali su pista neanche a parlarne. I minimi cronometrici imposti erano sulla luna. I suoi tentativi di raggiungere questi tempi erano commoventi, quasi leggendari. Gareggiava tantissimo, dagli ottocento ai cinquemila metri, imponendosi passaggi velleitari che spesso lo portavano a ritiri amari o a finire male, come un cavallo che ha rotto il trotto. Le sue giustificazioni erano tediose e prive di fantasia. Lamentava contratture muscolari e ritardi nella preparazione. Si diceva corresse due volte al giorno. La prima seduta di allenamento iniziava alle sei di mattina. L’assoluta mancanza di talento ci faceva tacere per un vago senso di pietà. Non ci prendevamo nemmeno il tempo dello scherno, durante le fasi di defaticamento.Eravamo concentrati sul nostro futuro, il suo era segnato dalla mediocrità.

L’allenatore non aveva nulla da rimproverargli e da rimproverarsi, anche se nel dopo gara mettevano in scena scontati botta e risposta. I centoventi chilometri settimanali gli intossicavano i muscoli di tossine che nemmeno le sedute di fisioterapia pagate dalla famiglia riuscivano a smaltire.

Eppure quest’anno, giunti ambedue alla categoria assoluta, in una corsa su strada a Squinzano, lo avevo battuto di poco, solo in volata. La cosa mi infastidiva, la coda dell’occhio percepiva un’ombra scura poco dietro, troppo vicina e minacciosa. Avevo tentato fin dal primo metro di staccarmelo di dosso, anche se ero certo che sarebbe scoppiato, come era successo negli anni giovanili.

Al circuito non era stato invitato nessun atleta di colore. Difficile stabilire se ci fosse una relazione tra questa scelta degli organizzatori e i risultati delle recenti elezioni comunali. La lista della Lega Nord aveva preso il 54% dei voti. Tuttavia, una curiosa enfasi aveva colto l’Assessore allo Sport durante la premiazione. Aveva teorizzato concetti che in altre stagioni avrebbero destato imbarazzo. Un mormorio di consenso aveva elettrizzato la piazza a basso voltaggio. Tenevo fisso lo sguardo sul nuovo avversario, indeciso se scambiare qualche parola sul palco delle premiazioni. Di norma, commento le fasi della gara solo con atleti di cui riconosco il valore, la pericolosità. A guardarlo bene pareva dimagrito, asciugato. In gergo si sarebbe detto tirato.

Subito dopo l’arrivo avevo notato le striature muscolari delle spalle, evidenziate dalla patina di sudore. Due buchi avevano risucchiato le guance, le vene percorrevano polpacci e cosce depilate. Ero rimasto ipnotizzato da quegli occhi scuri che non si posavano su nulla, se non per frazioni di secondo. Un nervosismo cosciente di una nuova efficienza fisica. Conoscevo quella sensazione di onnipotente impazienza. Propositi per le prossime gare, curiosità per le evoluzioni cronometriche degli allenamenti.

Non ci eravamo detti nulla. Avrei ridefinito quanto prima le gerarchie.

Ascoltavamo in silenzio le ardite teorie dell’Assessore allo Sport sulle razze che avevano saputo evolversi a livello sociale, e quelle che rincorrevano con ferocia pericolosa per divorare gli avanzi.