nuova atletica molinella
gruppo podistico
Generazione perduta (scena V)

Da bambino andavo già fortissimo, a undici anni mi mischiavo ai grandi nelle podistiche domenicali e arrivavo tra i primi al traguardo. Gli atleti sconfitti non erano per nulla scontrosi, la loro sudorazione mi sembrava eccessiva, fastidiosa, acida. Mi accarezzavano il capo, facevano un sacco di complimenti che mi lasciavano indifferente. Mi lasciavano i bigliettini dei premi a sorpresa. Ero molto disciplinato, nessuna distrazione con i soliti giochi di squadra che entusiasmavano i miei coetanei. Avevo avuto l’illuminazione eterna. Avevo visto el cabajo a Montreal ’76. E avevo capito tutto. Smisi presto di partecipare alle gare riservate agli adulti, troppo lunghe e sfibranti, atti di eroismo controproducenti che alla lunga mi avrebbero bruciato. A dodici anni intrapresi il primo programma di allenamento con un tecnico che scendeva appositamente dalla città due volte la settimana. Avevo le idee chiare e nessuna paura della sofferenza. L’impianto sportivo era privo di illuminazione, correvo quasi al buio. Nei mesi invernali, la pista in terra battuta rossa si riempiva di buche infide e melmose. Le linee delle corsie erano incerte, delimitate in polvere di gesso. Sul cordolo in cemento erompeva una vegetazione misteriosa e selvatica. Era un addestramento feroce per una guerra non dichiarata. L’allenatore mi urlava i tempi di passaggio e non aveva i riguardi mollicci dei vecchi podisti battuti la domenica.

Quando i tempi venivano, avevo fatto solo il mio dovere, quando sbagliavo una gara, il lunedì scendeva appositamente per parlarne. Nulla di consolatorio, né di punitivo, solo analisi molto lucide, la sua versione dei fatti, le sue ipotesi, i consigli per non commettere in futuro gli stessi errori. Non ero un ragazzino, ero un atleta. Gliene ero grato.

Io non voglio naufragare in Google. C’è tristezza. La malinconia latente delle promesse non mantenute. Dietro ci sono brutte vicende. O mi piace pensare che sia così, quasi mai riesco a risalire con certezza alla storia integrale di questi fiori non sbocciati. Droga per i maschi stufi di disciplina ascetica, di una attività che richiede dedizione assoluta. Anoressia per le ragazze, amenorrea, organismo sballato, variazioni metaboliche, mutazioni ormonali. E mille altre variabili. Nel migliore dei casi si sono rifugiati nello studio di materie tecnico-scientifiche. Alcuni risultano essersi laureati con 110 e lode, anche se rimango con il dubbio dell’omonimia, molti sono ricercatori universitari.

Curioso. Un rifiuto totale della fisicità.

 

 

Clara Arlati era stata primatista europea dei 3000 metri piani Juniores. In realtà, aveva ancora i quindici anni delle Allieve, categoria che al tempo non era riconosciuta nelle graduatorie internazionali. Oggi ha ripreso carne e forme femminili come si vede da una immagine presente nella galleria fotografica. È seduta su un ciclomotore, ha un casco nero in grembo e sorride. Si occupa di letteratura, poesia e traduzioni. Ha pubblicato due libri per una piccola casa editrice. Informazioni e foto recenti e degli anni in cui praticava l’atletica, le ho trovate sul suo blog. Dopo l’allergia alle competizioni è subentrata una dipendenza dalla corsa solitaria. Almeno dieci chilometri al giorno senza l’assillo del cronometro e delle gare. Ha rimosso i successi sportivi della prima fase della sua vita, una parte di sé ha dovuto soccombere. Nessun rimpianto, ma non posso che avvertire un vuoto.

L’ho contattata. Mi ha risposto allegando una bella poesia che parlava di quegli anni lontani, di quell’altra vita agonistica. Non mi occupo di poesia, ma la ricordo benissimo. Uno scricciolo che faceva gridare al miracolo nelle podistiche provinciali. Era molto esile, riccioli d’oro sopra un telaio essenziale, pelle bianchissima. Una Shirley Temple dell’atletica leggera. Poi era sparita, si parlava di allenatori molto esigenti, di anoressia. Venti ripetizioni sui quattrocento metri sotto il minuto e diciotto. Per una ragazzina di quindici anni. O ti distruggi o diventi un fuoriclasse. Condivido questa filosofia. Uova tirate al muro, quelle che non si rompono schiudono pulcini di campioni. Il resto, frittata. Inutile ingrossare la massa di perdenti nelle stracittadine o nella maratona di New York. A trecentocinquanta euro a pettorale. Pecore indottrinate da una vaga idea di salutismo e competizione con sé stessi che finiscono nelle mani di astuti Tour Operator. Le maratone di tutto il mondo sono intasate da commercialisti e impiegati di banca. Uniscono la competizione alla vacanza.

Il vero sport non è figlio di entusiasmi postdatati per professionisti di mezz’età affetti da edonismo. Deve crescere, formarsi dalle categorie giovanili, almeno dai sedici anni ed evolvere gradualmente. Il futuro campione deve tenersi riparato dalle tempeste ormonali, ignorare Lucignoli del nulla. L’atletica esige disciplina, puntualità negli impegni invernali delle campestri e nella stagione su pista che va da aprile a luglio. Si deve acquisire familiarità con meccanismi per nulla naturali. L’abitudine alla fatica non necessaria. A bordo pista, missionari non retribuiti, volontari del malaugurio, pigiano tasti di cronometri manuali. Gridano tempi di passaggio incuranti di tutto. Pioggia, vento, ghiaccio, neve, nebbia. Tecnici, atleti invecchiati. La forza centrifuga del tempo li ha spinti fuori dall’anello di tartan, sull’erba.

In un libro di Alessandro Donati del 1989 sul tema del doping, l’introduzione di Antonello Sette inizia così:

 

Il mare in burrasca dall’altro lato della via. Il cielo grigio, la pioggia fitta, come solo il mare d’inverno. Nel piccolo stadio di Gaeta cinque uomini divorano insaziabili la pista e sembrano gli ultimi epigoni di un’atletica che rischia di morire. Ai margini della corsia un uomo attempato segna e fatica su un foglietto bagnato tempi definiti al centesimo di secondo.

 

Quando inizi a sballare per eccesso i tempi previsti nella tabella, quando a tre quarti di gara ti stacchi dal gruppetto dei pochi atleti che si giocheranno la vittoria, si mettono in scena piccoli drammi.

Resistenza aerobica, potenza aerobica, lavori lattacidi, termini asettici che si riferiscono alle ripetute in pista. Si frazionano i chilometri totali che si correranno in gara, ma su ritmi più veloci.

I minuti tra una prova e l’altra sono uno stallo che angoscia. Si resettano orologi al quarzo, colpi di bronchite tagliano la nebbia, non parli con i compagni di allenamento. Sei da solo con i limiti del fisico a cui ti ha condannato Madre Natura.