nuova atletica molinella
gruppo podistico
Berlino - L'atletica con la città intorno

Scritto da Saverio Fattori

Martedì 25 Agosto 2009 10:20

Strana idea le ferie a Berlino nei giorni dei Mondiali di atletica. Rischio di dissociazione mentale, di pensieri fuori sincrono, la concentrazione è spostata altrove. Visitare il Pergamon Museum pieno di idoli greci di pietra mentre a mezz’ora di metropolitana quelli di carne combattono all'Olympiastadion in diretta nella Storia, non è sano. È innaturale. Allo stadio poi ci sono stato. Biglietti acquistati on line con buon anticipo per il giorno della finale dei diecimila. Il 17 Agosto. The Day After. Ventiquattrore di ritardo sulla Storia. L'energia del 9"58 non si è ancora dispersa, fa una tempesta molecolare con la rabbia del mio rimpianto. Sono in quinta fila proprio nella zona della partenza dei velocisti, poco sotto di me vedo come fossero nel mio salotto di casa i loro tic e rituali, la guerra delle espressioni facciali, il loro sguardo fisso su una linea di orizzonte per nulla immaginario. Ma è la serata sbagliata. È quella della semifinale e finale, sì, ma della gara femminile. Quando avevo prenotato il biglietto mi era sembrata un'ottima idea. Oggi molto meno. Mi consolo con la premiazione della gara del giorno prima. Quando la muta dei fotografi viene lasciata libera di immolare le tre statue di carne mi scappa quasi un riso isterico, scendono come pazzi i gradoni verso il podio rischiando l'osso del collo. Tyson Gay è tristissimo. Di una tristezza secolare, i tratti del suo viso e la divisa Nike old style sono già una narrazione. 9"71 la gente se lo scorda. Destino infame. Powell sembra aver elaborato la sconfitta, è ormai docile, in finale finalmente ha deciso di correrli tutti i cento metri, fino in fondo. È il suo curioso gesto di resa.

Bekele nella sua perfetta prevedibilità è snervante, anche se vedere a pochi metri correre un diecimila under ventisette è un'esperienza straniante, sono come ipnotizzato e solo il giorno dopo riuscirò a mettere a fuoco meglio, nell'incedere di questi atleti non c'è nulla di “muscolare”. È una specie di scivolamento. Non pretendo simpatia da un fenomeno come Bekele e per me può succhiare tutte le ruote che vuole, non rientra nel“penale”. Non è questo il problema. A lui manca solo un Tergat, una magnifica vittima da immolare negli ultimi quattrocento perché l'epica si compia al meglio, ma le sceneggiature non sempre sono miracolose, tutto è ciclico, l'era di Bekele non prevede avversari con una identità forte come quella del Signore della Corsa. Per il resto non ci sono italiani. Da tempo. Ma non ci sono francesi, non ci sono scandinavi, non ci sono inglesi, non ci sono belgi, non ci sono tedeschi, non ci sono olandesi, non ci sono inglesi. Manca mezzo mondo in una delle gare più mitologiche. Qualcosa non funziona. Da tempo. Evidentemente non solo a casa nostra. Anche la penisola iberica non è che faccia gran figura. Ho visto un paio di yankee correre bene dalle parti dei 27"30, niente male, ma la potenzialità degli Stati Uniti dovrebbe esprimere ben altro. Correre alla Prefontaine mi sembrava suicida, la gara è partita subito seria e quando Tadese ha messo giù l'acceleratore per ripararsi da imprevedibili ingorghi finali ho preso giri da 1'02" e 1'03".

 

Domenica 16 sono alla porta di Brandeburgo, le ragazze della 20 chilometri di marcia vanno su e giù per Unter den Linden, letteralmente “Sotto i Tigli”. Suona come una presa per il culo, non c'è ombra per loro nel giorno più caldo, partono a mezzogiorno e gli svenimenti a fine gara sono pane per i fotografi. La prima ad accasciarsi tagliato il traguardo è proprio la Rigaudo che con i suoi problemi di anemia non deve aver passato una bella mattina, poi una russa sembra accennare un passo di danza prima di essere raccolta al volo e barellata. Le immagini di questi piccoli collassi riempiranno i quotidiani del giorno dopo, sono il corrispettivo degli incidenti nella Formula Uno. Olga Kaniskina ha il viso sofferente da subito, anche quando ha lasciato la compagnia per involarsi inavvicinabile, il suo sorriso sul traguardo mi tranquillizza, non volevo vederla solo campionessa del mondo. Volevo vederla finalmente rilassata.

Gli amici italiani trasferiti a Berlino che lavorano su produzioni video sanno della mia ossessione.

Roberta e Marco ce la mettono tutta per distrarmi, il mercato turco, le tentazioni culinarie bizzarre. Il distretto dove abitano, Neukölln, è delizioso, qui è piacevole camminare senza mete turistiche, ogni piazzetta è una sorpresa, 139 etnie, qui i tedeschi si sono integrati bene. Al tavolo di un bar all'aperto fingo di parlare di cinema, Orson Welles, il leggendario piano sequenza che apre L'Infernale Quinlan, aneddoti sulla lavorazione de Il Padrino di Coppola, il cinema francese, quello europeo in generale, differenti punti di vista, Mike Leigh sì, Mike Leigh no, Happy-Go-Lucky film sorprendente o rottura di balle. Si arriva in fretta a parlare di  quanto l'Italia vista da lì sembri un luogo ancora più impraticabile. Poi mi irrigidisco, stringo i braccioli della sedia e spalanco gli occhi come posseduto.

 

-        Devo andare.

-        Dove?

-        Allo stadio.

-        Anche oggi? Ma guarda che Berlino...

-        Lo so. Ma devo andare.

-        Quando.

-        Ora. Adesso.

-        A che fare?

-        Ci sono i 3.000 siepi. E altro ancora.

 

La mia emotività li contagia e due attori di teatro italiani mi assecondano nella follia, memorizziamo il percorso in metropolitana aiutati dagli altri al tavolo e partiamo, potrei tatuarmi l'itinerario sul torace come il protagonista di Memento, così, come ricordo. Armando addirittura millanta di avere il numero di telefono di  Elisabetta Caporale e cerca di chiamarla subito senza sapere esattamente quale privilegio ricavarne. Oscar sembra meno entusiasta, ma non si pentirà della spedizione, Bolt quella sera correrà un sonnacchioso quarto di finale dei 200, ma tanto basta. Mettono a fuoco che Berlino in questi giorni non è solo la metropoli intasata di artisti e locali trendyssimi e sperimentazioni. È Atletica Leggera in purezza. Lo sport più bello del mondo. Tutto qui parla di atletica, le pubblicità fanno martellante riferimento ai campionati e ai suoi eroi, il centro è punteggiato di atleti colorati, fisso i pass con invidia e curiosità. Il loro quartier generale è l'albergo Berlin, Berlin su Lutzowplatz. Tutto ha inizio da questo luogo, gli atleti che gareggiano in giornata escono dall'uscita secondaria, ben protetta, gli altri cazzeggiano in giro, sono esseri umani a tutti gli effetti, si scrutano le vetrate che danno sulla hall, si cerca di individuare lui, ogni giamaicano con i deltoidi affusolati fa gridare al miracolo i fan che presidiano. Sulle imprese precedenti alle sue sembra essere calato il bianco e nero di un immeritato oblio. Lui è il presente e il futuro. Ciò che forse non è mai stato. L'Atleta Perfetto, anche se mi si dirà che ogni epoca ne rivendica uno.

Come arrivo all'albergo vedo Alex Schwazer che parte per il penultimo allenamento prima della cinquanta scortato da Sandro Damilano in bicicletta. Christian Obrist mi parte sulla sinistra per una medio con la divisa della nazionale, arriva Gibilisco, ha la faccia scura ma determinata, Clarissa Claretti qualificata fresca. Avvicino Meucci, sembra sereno, spero non sia rassegnazione quella leggerezza nella gestualità e nella voce, decido che gli rompo le balle, la mia ragazza finge di non conoscermi, lo avvicino e gli chiedo come si scarica nei giorni immediatamente precedenti a un grande evento. Dice che oggi ( il giorno che precede la sua batteria dei 5000) ha corso mezz'ora. Penso e non dico, Solo? L'ultimo allenamento specifico lo ha fatto lunedì già a Berlino, giorno della gara giovedì. Non gli chiedo nei dettagli che ripetute ha corso, i tempi, e come sono le sensazioni.

Conosco bene la zona, ho soggiornato lo scorso anno al Berlin, Berlin. Questo albergo è strategico, poco distante da Tiergarten, il cuore verde della città, un reticolo di vialetti ossigenanti dove i berlinesi vanno a fare jogging. Non mi è difficile capire che tutti si allenano lì. Giapponesi, keniani, etiopi, cinesi, francesi. Tutti. Sembra che si debba correre un mondiale di cross country. Il giorno della mia partenza metto la sveglia e  indosso canottiera e pantaloncini. Da Checkpoint Charlie vado verso i grattacieli taglienti di Potsdamer Platz e in dodici minuti sono nel bosco metropolitano. Individuo quasi subito tre mezzofondisti keniani, mi tengo a distanza rispettosa, sto dieci metri dietro, faccio tirare loro, come Bekele, corriamo più o meno a 3'40" a chilometro. Assurdo. È come se io corressi a cinque minuti a chilometro. Penso che a me non piace correre piano, fatico lo stesso e la falcata perde rotondità, sono disarticolato. Loro mantengono invece un incedere regale, le persone che li incrociano gli danno il cinque, poi guardano me poco dietro con rispetto e curiosità. E questo chi cavolo è? Stanno pensando.

Post Berlin. Ovvero Berlino in televisione. Rientrato in Italia ho trovato davvero la Rai in forma. Le redazioni si erano preparate al meglio, immagini d'archivio just in time, si sapeva che non c'era nessuna Pellegrini fuori dall'acqua, si poteva temere il peggio dalla spedizione italica e qualcosa si sarebbe dovuto inventare con guizzi d'improvvisazione. La telecronaca della Maratona maschile è stata un piccolo capolavoro. Splendida prestazione di Bragagna, professionalità, preparazione e grande cultura in senso lato. Zona emotiva e cognitiva a dialogare bene. Misura nell'evidenziare alcune pecche di formula, tipo la progressione nel salto in alto che ha accorciato le gare, ammazzandole. Monetti ha potuto dare il meglio, puntuale senza essere puntiglioso, l'intelligenza, la preparazione, la semplicità di Baldini stanno a raccontare che un grande campione non può essere solo gambe, Pizzolato sempre millimetrato. Chi ha seguito questa telecronaca ne usciva meno ignorante. Ditemi se può succedere una cosa simile in una partita di calcio. Certo la città aiuta, Bragagna lo ha detto chiaro. Berlino è la vera capitale d'Europa.

Saverio Fattori