nuova atletica molinella
gruppo podistico
Danilo Delli

(dalla rivista Correre gennaio 2009)

Danilo Delli se ne sta a braccia dietro la schiena, è caldo ma indossa il solito trench beige di ordinanza. Segue il gesto atletico che gli scorre davanti con lucida severità, si arrabbia, gesticola, simula lo step del salto in lungo e urla. Nessun isterismo, la voce è ferma. Il tono giusto è quello. C’è da mettere a posto la rincorsa, gli ultimi appoggi, lo stacco. La progressione della corsa. Tutto in pratica. Tutto è da costruire, la materia è grezza.

Time is on my side, potrebbe dire il ragazzino che ha stoffa ma è tecnicamente selvatico. La sua forza è fuori discussione, ma va domata. Oltre il muro dello stadio arrivano gli schiamazzi ludici della piscina, le voci stridule di ragazzine- sirene, alcuni dalla piattaforma azzardano offese urlate agli sfigati del campo. Il giovane saltatore in lungo non li considera, piuttosto è impaurito dal rigore di Danilo Delli, Maestro di Sport. Ad inquietarlo è quell’accento depurato da ogni inflessione padana. Non ha mai sentito un adulto parlare italiano senza cadenze dialettali che addolciscono i rimproveri. È nato a Piombino Danilo Delli, è venuto da lontano a spiegare che l’Atletica non è un gioco. Non solo. Per chi sa cogliere l’assoluta mancanza di buonismo il messaggio è definitivo nella sua crudeltà. L’Atletica non è per tutti. La disciplina estrema e i modi bruschi accelerano solo la selezione naturale. Danilo Delli ha ereditato i modi marziali da un suo avo, un sottufficiale francese sceso in Italia al seguito di Napoleone Bonaparte. Prima di arrivare nella bassa bolognese ha insegnato Educazione Fisica nel liceo più prestigioso di Genova, tra i suoi allievi figurano Gino Paoli e Fabrizio de Andrè. Ha partecipato alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Qualcosa deve aver sbagliato per arrivare alla nostra pista in terra rossa infestata di bambini rachitici come mendicanti.

Delli si sposta al centro del campo, in mano stringe il cronometro. Stanno partendo i mezzofondisti, il martedì è giorno di 3000 metri. Non è ancora tempo di interval training, di Arcelli, di cardiofrequenzimetri, di tessuti tecnici. Nel 1976 la Maratona di New York e la Nike sono in divenire, germinano in silenzio. Gli atleti alternano l’attività tra le gare in pista nei mesi caldi e la corsa campestre nei mesi invernali. Poche gare federali che non puoi permetterti di sbagliare. Non è ancora iniziata la sbornia del podismo su strada come fenomeno di massa. Nessuno ha ancora pensato a mettere un pettorale a un cane. Le prime medaglie “Appositamente Coniate” iniziano a riempire cassetti. Le piste sono per lo più in terra rossa e le corsie sono imprecise, disegnate in gesso. Le gare su una pista seria si fanno su un catramato nero a Borgo Panigale che è ancora un paese, Bologna non se l’è ancora ingoiato. Ci arriviamo dalla profonda provincia con un furgoncino Volkswagen guidato da Angiolla che poi si assopisce al posto di guida mentre noi sfidiamo i fichetti della Francesco Francia, società che tessera i ragazzini più forti delle scuole bolognesi. I Giochi della Gioventù ci sono. I Giochi della Gioventù funzionano. Noi siamo un’ Armata Brancaleone in Valsport di camoscio e divise spaiate, io sono davvero troppo piccolo, non esiste al mondo un completo canottiera e pantaloncini che possa fasciarmi decentemente.

Tutto sembra più duro ma paradossalmente meno solido, esposto all’incoerenza del destino, un giorno di pioggia e vento distrugge il campo di battaglia e costringe alla tregua. Ma oggi tutto è secco, la sabbia rossa si attacca ai polpacci sudati. Sette giri e mezzo in quel pomeriggio di luglio uguale e diverso da tutti gli altri pomeriggi di luglio. Delli urla i passaggi dei vari gruppetti, chiudete il buco, è l’espressione di sempre che si presta alle battute di sempre. Sette giri e mezzo secchi che non sono un allenamento nel quadro di una strategica programmazione. Dentro a quell’ovale siamo tutti concentrati sul presente, l’unico tempo concesso, futuro è una parola vuota. I 3000 del martedì sono l’ennesima battaglia tutti contro tutti per ridefinire le gerarchie del gruppo. Ex bambini, che sanno essere cattivi come quando pochi anni prima tagliavano code di lucertole o tormentavano le femmine della classe con pizzicotti sulle braccia. Sono anni senza identità, l’esubero ormonale rende queste creature forti e insopportabili. Potenti e fragili.

Danilo Delli con me è più morbido e non potrebbe essere altrimenti. Sono il più piccolo, nove miseri anni e ne dimostro al massimo sei, un marmocchio biondiccio con gli occhi sporgenti, ma piuttosto talentuoso. Le Olimpiadi di Montreal mi hanno traumatizzato, ho visto la luce, mandato affanculo palloni, palle, palline, pallette. Ho deciso di correre senza intralci, sento le voci come Giovanna D’Arco e durante un terrificante Quarto d’Ora di Corsa a 35°, ho visto la Madonna di Fatima sopra la traversa. Mi ha disvelato un segreto divino che ho rimosso. Troppa la fatica, l’ossigeno fatica a carburare il cervello e sopraggiungono allucinazioni.

Ho nove anni. Ma sono terribilmente maturo.

 

Parti forte ragazzo, troppo forte, corri il rischio di bruciarti in fretta. Magari ora vai in piscina e torna in questo inferno tra qualche anno. Nessuno troverà nulla da ridire. Sei un bambino. Capisci? B. A. M. B. I. N. O.

 

Sono un mini-uomo con le idee pericolosamente troppo chiare. Destinato a invecchiare in fretta senza conoscere alcuna leggerezza d’animo. L’Atletica fa per me. L’Atletica chiede molto, restituisce sempre meno del dovuto, non perdona. È spietata, ma regala obbiettivi chiari e oggettività. Danilo Delli, Maestro di Sport, ne incarna l’essenza. Mi ha regalato numeri vecchi del mensile Atletica, ho metabolizzato quei Cristi con le canottiere troppo larghe sulle costole sporgenti, capelli lunghi e barba di alcuni giorni, simbologia di anni ribelli. Apparente trasandatezza estetica su organismi perfetti. Voglio essere come loro. Voglio essere Pippo Cindolo, Marcello Fiasconaro, Gianni del Buono, Carlo Grippo. Voglio arrivare quarto alle Olimpiadi dopo una corsa di testa disperata. Voglio essere Prefontaine. Perfetto nell’onorevole sconfitta che si fa mitologia. Talento da disperdere, medaglie di legno che entrano nella storia di uno sport avaro e splendido. Voglio essere Franco Fava che mi assomiglia nell’essenzialità della figura. Danilo Delli ci aveva portato alla Corrida di San Geminiano a Modena e lo aveva accompagnato al Volkswagen per un saluto veloce a quei marmocchi usciti da Il Signore delle Mosche. E’ un ricordo che inizia a sbiadire, ma sono quasi certo che sia successo.

 

I 3000 quel giorno di luglio li ho finiti in 11.22, nel finale ho agganciato e staccato due vecchi 12enni stroncati dall’aria ferma e torrida. Delli li ha derisi, ma c’è meno severità di quanto si sarebbe potuto prevedere. Sono stati battuti da un folletto che promette davvero bene, un campioncino in embrione. Loro sono già formati fisicamente, filiformi ma già gobbi, insensibili alle parole del Maestro di Sport, uno dei due fuma Marlboro nello spogliatoio, un giorno farà Economia e Commercio. Sono io la causa del loro fallimento di giornata, sono abbastanza maturo per averne coscienza, faccio i giri di defaticamento lontano dai due moribondi e dal senso di colpa, insieme ai divi, due che corrono già i 2000 metri attorno ai sei minuti e trenta e dominano le prime mini- camminate tra Bologna, Ferrara e Ravenna.

 

Un divo è diventato culturista, l’altro imbianchino. Le droghe sedative anni Ottanta e la Facoltà di Economia e Commercio hanno fatto scempio di sogni di gloria olimpica.

Il lunghista ha ascoltato le urla di Delli, ha perfezionato rincorsa e stacco per saltare alla Fiat Iveco di Simeoni e Mennea. Nel 1979 è atterrato a 7 metri e 95 centimetri.

Danilo Delli era un vero duro. Nonostante questo è morto lo stesso.

Io dimostro ancora meno anni.

Ma questa è un’altra storia.